Ciao Louder, siamo tornati (in ritardo).
Questa è la prima puntata della newsletter/micropodcast che si chiamava New Music Louder (come la playlist) e che da oggi si intitola Pioveranno venerdì. Continuerà a uscire solo in formato audio sul canale Telegram mentre su Substack (e nelle vostre caselle mail) troverete la versione scritta eventualmente anche ascoltabile (c’è il player qui sopra). Ovviamente ci saranno sempre i link alle playlist su Spotify e Apple Music. E se volete far partire la playlist, intanto vi dico una cosa.
Ieri è ricominciato X Factor, e se vi interessate di musica in Italia negli anni Zero, Dieci e Venti non potete fare finta che non esista. Io non lo guardavo da molto tempo, perché, mentre stavo attento alle uscite discografiche di chi ne usciva e a tratti ne ero sinceramente impressionato (abbiamo intervistato due volte cmqmartina, per fare un esempio), ero esausto della “narrazione” del programma. Capisco che gli show televisivi si fanno così, che certi cliché sono come i ritornelli: ogni tanto vanno messi, affinché la gente non si distragga, ma ecco, a un certo punto viene anche la nausea. Ieri ero curioso di vedere Francesca Michielin alla conduzione (ed è stata la cosa migliore, in generale, a mani basse), ma temevo che avrei ritrovato le solite parole: “le mie canzoni sono molto personali”, “la musica per me è una terapia”, “ci vuole urgenza espressiva”, e così via. Ecco, non c’è nulla di falso di per sé, ma a volte viene da chiedersi se certi ragazzi cresciuti con questo tipo di rappresentazione della musica, che è poi speculare al “sogno” di “farcela” e “spaccare tutto”, non abbiano perso di vista una serie di altre ragioni per cui valga la pena fare musica. Ne elenco alcune: per divertirsi; per gasarsi; per rilassarsi; per vendicarsi; per pagare le bollette; per dire qualcosa che nessuno ha mai detto; per passare il tempo; per imparare qualcosa; per fare colpo su qualcuno; per comprarsi la villa con la piscina. Non c’è solo la cura, ragazzi, che peraltro è il pezzo più sopravvalutato di Battiato. La musica di questa settimana ci dice anche questo: a volte non conta solo “cosa vuoi dire” ma come lo dici, quanta attenzione dedichi alla tua musica, consapevole che non è sufficiente voler fare qualcosa, devi metterci un po’ di sudore, trovare modi di dire e di suonare originali. Non dico che sia facile, ma se sei banale - nel nostro piccolo - non hai spazio in questa playlist. E ora cominciamo.
Weyes Blood e gli altri singoli della settimana
Partiamo dai singoli. Weyes Blood ha pubblicato la prima traccia del suo nuovo progetto. Nel 2019 Titanic Rising è stato uno dei nostri album preferiti e ne abbiamo parlato. Il nuovo album si intitolerà invece And In the Darkness, Hearts Aglow (“e nell’oscurità i cuori brillano”) e la canzone si intitola It’s Not Just Me, It’s Everybody (“non sono solo io, sono tutti”). Se il primo verso “seduta a questa festa mi chiedo se qualcuno mi conosca” ti ha fatto venire in mente quel meme lì, siamo in due. La musica richiama molto lo stile barocco e notturno dell’album scorso, ma con una voce che a tratti sembra posseduta dallo spirito (peraltro ancora tra noi) di Joni Mitchell. Ottimo.
C’è un nuovo singolo di Carly Rae Jepsen, dal nuovo disco in arrivo a ottobre: Talking to Yourself sembra un po’ la vecchia Carly che però è sempre fresca, a mio parere, perché scrive non solo quando ha i pensierini.
Cate Le Bon, che a febbraio ha pubblicato Pompeii, ancora uno dei migliori dischi dell’anno, ha fatto uscire una nuova canzone: Typical Love, che è ombrosa, notturna, nebbiosa. Bellissima.
C’è una collaborazione tra i METZ, band post-punk canadese, con Joe Talbot degli Idles. Si intitola Come On Down e parte tutta minacciosa ma poi a un certo punto ti ritrovi a cantare un coro in un pub: oh, se solo tutte le canzoni facessero viaggi così.
Intanto è uscito un nuovo singolo di Björk, Ovule: speriamo che non sia cantato troppo “strano” per certi colleghi che si sono stancati dell’artista islandese. Io penso che questo nuovo progetto sia interessantissimo, e non vedo l’ora di ballare come un gabber intorno a un vulcano.
Altre segnalazioni veloci: un bel pezzo preso male dei Dehd, che suona magnificamente e si merita un posto alto in playlist. Leisure Activities degli Italia 90, band inglese con il nome più bello di sempre. Poi troverete la sorella di Lorde, Indy Yelich, che ha pubblicato questa canzone intitolata Threads, tutta trasognata: del talento scorre in famiglia, ma senza fare figli e figliastri possiamo dire tranquillamente che Royals come singolo di debutto era un pochino meglio.
In fondo alla playlist, come sempre, si balla: ci sono Daphni (cioè Caribou) e Fred Again. Infine, è tornata Kelela - che tra parentesi ricordo come uno dei concerti più noiosi rispetto alla bellezza del disco che portava in tour. Il nuovo singolo, dopo quattro anni di assenza, più che una canzone sembra la fettina di zenzero che mangi tra un pezzo di sushi e l’altro. Si intitola Washed Away e l’abbiamo messa alla fine della playlist, come fosse una mentina. E adesso, gli album.
The Beths, Expert In a Dying Field
Le Beths sono una band neozelandese, Expert In a Dying Field è il loro terzo album: il titolo del disco e il tema dell’album e della splendida title-track, “esperto in una materia desueta”, è un modo molto originale per raccontare l’inadeguatezza e il senso di smarrimento in cui ci si trova. Ad esempio quando ci si lascia, e tutte le cose che si sapevano del proprio o della propria ex sono diventate informazioni che non hanno più un mercato. Ci sono molti modi per dire che ci si è lasciati e che si sta male, ma dirlo così è un pregio, perché invita a riflettere su di sé senza crogiolarsi nella tristezza. Un discorso simile si può fare per la musica: non c’è nulla di rivoluzionario di per sé nella musica che suonano le Beths (indie pop, indie rock, twee: tutti e tre i termini sono validi e intercambiabili nel corso delle dodici tracce del disco). Quello che è rinfrancante come una boccata d’aria in montagna è l’attenzione che il quartetto mette nella scrittura, nell’esecuzione, nell’arrangiamento: sono canzoni scritte bene, hanno melodie interessanti, sulle quali è stato chiaramente fatto del lavoro, e il lavoro va sempre ripagato. Sentite le armonie vocali sul ritornello della traccia che abbiamo messo in playlist, Head in the Clouds, sentite come suonano bene le chitarre: questo è pop fatto a modo. Ascoltate il disco, e tirate fuori i fazzoletti per la traccia finale, 2Am.
Rina Sawyama, Hold The Girl
SAWAYAMA, il disco d’esordio di Rina Sawayama uscito nel 2020, mi era piaciuto moltissimo. Era metal suonato da una persona cresciuta ascoltando le Sugababes. Dentro questo conflitto estetico c’era il racconto delle tribolazioni di un’adolescente esuberante e libera in una famiglia di immigrati più conservatrice, e che si scatenava mettendo a ferro e fuoco il mondo, dal capitalismo al bigottismo. Poi Rina è andata in tour, è andata in terapia e ha cominciato ad ascoltare country, come ha raccontato: sentire Dolly Parton, Kacey Musgraves, Shania Twain (evidentemente citata in This Hell) le ha fatto venir voglia di semplificare la scrittura, parlare delle cose senza troppe complicazioni o troppi livelli di lettura. Diciamo che è un country con il filtro della Lady Gaga di Joanne, come si sente in Holy (Til You Let Me Go), quindi con un bel po’ di dramma e il beat. Ma effettivamente, nelle liriche c’è un chiaro intento di superare il conflitto, crescere, guardare ai propri problemi non solo dall’interno: ad esempio un pezzo come Send Your Love To John parla di omofobia in modo satirico, ma anche cercando di mettersi nei panni della madre immigrata omofoba che parla con suo figlio. Insomma, è un disco di terapia, ma nel senso che andare in terapia ha aiutato Rina a superare le cose che la bloccavano, da cui il titolo del disco, e poter andare oltre. Che è come si dovrebbe fare: prima in terapia, poi in studio di registrazione. Alcuni brani propendono per il carattere più caotico alla SAWAYAMA, tipo Frankenstein, e ovunque emerge l’amore totale per il pop di Rina, che le fa cantare melodie da Eurovision come in To Be Alive e in parte in Forgiveness, il brano che ho scelto per la playlist.
BLACKPINK, Born Pink
A proposito di fare bene il pop, è uscito l’album delle BLACKPINK, Born Pink, che mi verrebbe da tradurre come “se nasci rosa non puoi morire grigio”: il disco ha quella capacità del k-pop di farti prendere bene per prodotti chiaramente usciti da una fabbrica, ma ideati con gusto e con un pensiero, che alla fine non ti fanno nemmeno sentire in colpa. Diciamola così: se sono canzoni tagliate con lo stampino, qualcuno si è preso la briga di assicurarsi che questi stampini fossero tutti nuovi, ancora ben affilati e abbastanza diversi tra loro da farti esaltare per la forma del biscotto. A volte la differenza tra pop da buttare e pop esaltante è davvero solo la cura, non fermarsi al primo ritornello che viene in mente, dedicare la giusta attenzione al fatto che tutti suoni bene. E avere un tag come “BLACKPINK IN YOUR AREA!”, che aiuta sempre. Lo si sente nel pezzo che abbiamo scelto, Shut Down, ma anche Hard To Love non è niente male. Magari i brani più lenti e meditabondi, come The Happiest Girl e Tally, dove è più difficile farsi rapire dalla produzione o dove si vede l’influenza di un pop intimista più banalotto che va di moda in America, mostrano il fianco. Se non siete nel mood, saltate queste due.
Death Cab For Cutie, Asphalt Meadows
Abbiamo seguito (e incluso in playlist) uno per uno i singoli del decimo album degli americani Death Cab For Cutie, che esce oggi. Il che significa che personalmente ero abbastanza ansioso di sentirlo. E se formalmente non si può dire nulla al disco, devo ammettere che nel mezzo mi sono smarrito: i brani che funzionano meglio sono quelli che stilisticamente coltivano l’ossimoro del titolo, “prati d’asfalto”. Ad esempio, la prima traccia I Don’t Know How To Survive, che ha un riff di chitarrina che ti entra nel cervello e non se ne va più, e poi l’ultima, I’ll Never Give Up On You. Son pezzi che restano per le dinamiche, per le chitarre croccanti che fanno attrito sopra il canto flautato di Ben Gibbard, sulle tastiere limpide o sui pianoforti, e ci restituiscono bene questo senso di stare aggrappati alla convinzione che il mondo non debba per forza andare a rotoli, che è un po’ il filo conduttore del disco.
The Mars Volta, The Mars Volta
I Mars Volta al settimo album e dopo dieci anni dall’ultimo disco ricominciano da capo, tirano una linea su quasi tutto quello che hanno fatto e al posto del rock progressivo, storto, ma anche pomposo e insopportabile che li ha resi famosi, tirano fuori un album super melodico, volutamente “pop”. Ci sono canzoni che prendono a piene mani l’eredità latina dei due componenti centrali del gruppo, il chitarrista Omar Rodríguez-López e il cantante Cedric Bixler-Zavala, come Que Dios Te Maldiga Mi Corazon, che cita i ritmi della Bomba portoricana. Dal punto di vista lirico, il disco è incredibilmente oscuro: parla di mondi che crollano, dolori che non si possono assopire, convinzioni che si sbriciolano. Ha a che fare con l’abbandono di Scientology da parte di Bixler-Zavala quando ha saputo che la moglie Chrissie Carnell era stata stuprata da un membro dell’organizzazione. Pezzi come Equus 3 o Blank Condolences sono due buoni esempi di questa oscurità. Più in generale, la chitarra continua a svisare e a vedere mondi psichedelici che non esistono, a disegnare contrappunti melodici e ritmici, ma tutto questo con forme musicali più quadrate. Ci sono canzoni come Vigil che sono quasi soul. Sicuramente è una svolta, a molti fan storici probabilmente farà storcere il naso. A noi, no.
Gli altri album: titoli da rivedere
A proposito di album “self-titled” è uscito il disco di Marcus Mumford che si intitola (self-titled), che gag.. Non siamo mai stati grandi fan di Mumford: la sua mi è sempre sembrata musica introspettiva per persone che non vogliono andare in terapia. Nel disco però ci sono dei featuring di Clairo e Phoebe Bridgers che ci hanno convinto a dargli un veloce ascolto. Meglio il primo featuring, Dangerous Game, che si merita uno spazio in playlist, ma per un pelo.
Blood Orange ha pubblicato le quattro canzoni dell’EP Four Songs (altro titolone originale): la traccia che abbiamo inserito, Something You Know, potrebbe essere una canzone dei Vampire Weekend suonata da Prince, e anche per questi echi (lontani) più indie rock mi ha ricordato i tempi in cui Devonté si faceva chiamare Lightspeed Champion e faceva pezzi tipo Madame Van Damme, che non c’entrano, ma mi mancano.
Tra gli altri dischi usciti oggi vi segnaliamo: il bel demon time di Mura Masa che ha una title-track ipnotica, un filo conduttore sulle trappole del presente che tiene, e un convincente featuring di slowhtai che si intitola up all week ed è una perfetta rappresentazione di quando, a furia di essere passivi e subire il flusso di notizie e intrattenimento che ci arriva, le settimane volano via (l’avete provato anche voi, vero?); l’EP Perception della rapper newyorkese Clip, che ha dei bassi colossali, e passa da un trip-hop abissale a momenti furiosi techno-rave, che sembrano l’evoluzione necessaria dopo il revival house che il rap americano sta attraversando ora; YESSIE di Jessie Reyez, se il neo soul lo-fi con i pensierini e i piattini trap fa per voi; People Helping People dei No Age, duo noise che quando si ricorda di cantare lo fa con profitto; Autofiction degli Suede, che ha una traccia con un basso grosso e un cantato marcio, ma per il resto è un disco degli Suede non particolarmente emozionante; e infine The Hardest Part di Noah Cyrus (la seconda “sorella di” di questo venerdì), che è proprio il tipico disco che è stato terapeutico scrivere, le cui canzoni sono molto personali, ma fortunatamente ha l’urgenza espressiva… ma poi alla fine la title-track sembra una canzone della sorella… insomma, non è niente di che ma lo menzioniamo perché Ben Gibbard dei Death Cab For Cutie è anche qui dentro, e noi siamo felici quando i musicisti indie si possono pagare il mutuo.
Italia… Italia…
Italiani ne abbiamo? Sì, ovviamente oggi è il giorno in cui esce Botox del produttore Luca Pace meglio noto come Night Skinny: dopo il successo commerciale e di critica di Mattoni, Skinny torna con 21 tracce per 1 ora e 9 minuti che onestamente sembrano un fritto misto di rap, urban, indie, pop e affini. Le basi sono quasi sempre perfette, e questo è poi il lavoro di un produttore, quindi missione compiuta. Le canzoni, come tali, ogni tanto sono carenti. L’assemblaggio degli artisti ricorda quando il prof di educazione fisica alle medie faceva le squadre per il basket. Oppure l’inizio di una barzelletta. Blessed con Ariete, thasup, Madame, Drast (che ci sta, tutto sommato) mi fa chiedere se a 37 anni io abbia bisogno di imparare un’altra parola dei “giovani” dopo aver passato gli ultimi due anni a imparare CRINGE. Lo so, è molto CRINGE dire CRINGE. Addio con Rkomi, Ernia, Mahmood e Gazzelle è un altro pezzo decente, ma va letteralmente dappertutto. Invece, Sparami con CoCo, Ariete ed Ernia ha una sua coerenza. Ovviamente, ospitando TUTTI gli artisti italiani su piazza (quaranta) e avendo un numero esagerato di tracce, sarà un successo galattico in classifica: però vi sfido a sentire Botox e poi non avere bisogno di fare una pausa di silenzio in un eremo.
A proposito di accozzaglie, è uscita una collaborazione tra i Fast Animals and Slow Kids con Ligabue, intitolata Il tempo è una bugia: fa strano sentire citati i Blink in un pezzo con Ligabue, che d’altronde in tempi non sospetti aveva fatto namedropping di Neil Young prima che fosse di moda. Il pezzo non è spettacolare, ma a ben vedere i punti di contatto tra la band perugina e il cantautore correggese ci sono: gli “uo oh” e il fatto di parlare di persone deluse dalla vita. Quindi, dai, alla fine.
Altra collaborazione, Elodie con Joan Thiele nel brano Proiettili dalla colonna sonora del film Ti mangio il cuore, interpretato da Elodie e presentato a Venezia. Qui secondo me, invece, ci siamo. Il pezzo è lento e tenebroso, ha un arrangiamento cinematografico con spazi molto grandi, motivi di violino, e piace sentire Elodie cantare anche questo tipo di canzoni, meno dense di hook. Perché il carisma c’è.
Poi è uscito il primo singolo del secondo disco dedicato a Ennio Morricone dei Calibro 35, che suonano con Joan As Police Woman il brano The Ballad of Sacco and Vanzetti, che Morricone aveva composto con Joan Baez. Forse vi ricordate Here’s To You, sempre dalla colonna sonora di Sacco e Vanzetti. Questa è una perla, e vi rifate le orecchie ad ascoltare un pezzo eseguito e prodotto con questo amore.
A proposito di rifarsi le orecchie, c’è un nuovo singolo a sorpresa di Andrea Laszlo De Simone, I nostri giorni: il cantautore e musicista lo ha descritto come “l’altra faccia di Vivo”, cioè il singolo uscito a gennaio 2021 e ultima traccia inedita pubblicata. Ha a che fare con il relativismo delle nostre realtà, dominate da mezzi di comunicazione di massa eppure atomizzate in miliardi di modi di vedere il mondo completamente diversi - ha spiegato l’artista in un comunicato. Conosciamo bene la sensazione di smarrimento, talvolta di terrore ma anche di meraviglia. Si apre con un solo di clarinetto molto classico, e poi si alza il sipario e comincia la magia alla quale ALDS ci ha abituato. Ascoltatelo.
Marco Mengoni ha pubblicato Tutti i miei ricordi, il primo singolo del secondo capitolo della trilogia di album iniziata con MATERIA (Terra): se suonerà tutto così, MATERIA (Pelle) sarà un ritorno al passato nella costruzione pop, in questo caso rappresentato dalla collaborazione da una parte alla scrittura con Casalino (quello de L’essenziale) e con Dario Faini alla produzione (Io ti aspetto), ma con nuovi suoni e una nuova consapevolezza. Bello l’hook “tuttimieiricooordi”. Ci sta.
Meg ha annunciato un nuovo album, Vesuvia, e oggi è uscito il primo singolo Arco e frecce con quattro componenti del collettivo napoletano Thru Collected, ed è una boccata d’aria fresca perché non è una canzone d’amore, ma è un flusso di coscienza su come funziona l’intelligenza, come si capiscono o non si capiscono le cose. Niente pensierini, insomma, ma pensieroni.
Poi vi consiglio di ascoltare l’EP di Carrese, Valvola: avevamo già incluso la traccia Squali in playlist, e il resto del progetto continua a convincerci per il suo pop nebuloso. Alla produzione, tra gli altri, c’è Marta Venturini (vi ricorderete di lei per Mainstream di Calcutta). Altro EP valido, Il mondo invisibile di Subconscio: 5 tracce neo soul che hanno qualcosa di ipnotico e irresistibile (particolarmente psichedelica la title-track, noi abbiamo scelto un pezzo con il groove più svelto).
Altro disco, Questo non è un cane di Claver Gold: tante parole, tanta nostalgia del boom bap, non moltissimi flow purtroppo. Claver ha una capacità affinatissima di entrare dentro le situazioni, anche quelle più intime, ma qui ogni tanto l’elemento puramente ritmico della sua poetica viene un po’ meno. Ha senso, per un disco che vuole essere di pancia, ma l’ascolto ne soffre un po’.
Se siete super fan di Elisa, è uscito il primo volume dell’album dal vivo Back To The Future (gli altri due usciranno a ottobre e novembre). Sentirla duettare con Elodie è divertente, con Jovanotti un po’ meno. Abbiamo messo in playlist l’inedito Silent Song, ma andate a sentirvi anche Bagno a mezzanotte, ché la parte di special cantata da Elisa è illuminante.
Ultima segnalazione, Alan Sorrenti: sì quello di Figli delle stelle e Tu sei l’unica donna per me. Ha pubblicato un nuovo singolo, Gli altri siamo noi, che è una nuova collaborazione con il musicista e produttore Ceri, che sempre dietro le quinte ha lavorato con lui già su due altri singoli usciti in primavera. Spacca, ha una costruzione molto originale.
Una lettura
Della morte di Elisabetta II abbiamo parlato tutti. Ma dell’impatto sull’immaginario musicale inglese solo un giornalista ha parlato in modo impeccabile, andando a sviscerare questa tensione, quasi il bisogno della casa reale da parte del punk, della new wave, del brit pop. Quel giornalista è Simon Reynolds, ne parla su Pitchfork e dovreste dargli un’occhiata prima che ci dimentichiamo di tutta questa faccenda monarchica.
Abbiamo finito, siamo andati lunghissimi, ma lo davo per scontato. Se vuoi condividere questa newsletter, schiaccia qua sotto. A lunedì, con i concerti.
Se hai qualche suggerimento, qualche opinione, qualche pensiero (non -ino) da condividere su questa playlist, puoi trovarci su Instagram, Twitter, TikTok, Telegram. O più facilmente, puoi lasciare un commento qui sotto.