Pioveranno venerdì #3 - 24/30 settembre
Cos'è il pop? Storie di ottoni, di artisti immortali e di cover speciali
Ciao Louder, la musica uscita oggi ci pone di fronte a una domanda: cos’è il pop? Mentre metti su la nostra playlist del venerdì (su Spotify e Apple Music), provo a rispondere.
Come tutti gli attributi universali e generici, non è facile delimitare il senso di “pop”. Forse è uno stile? E in questo caso, gli ottoni, quella categoria vasta e imprecisa di strumenti che va dalle trombe agli strumenti ad ancia tipo il sax, sono parte del canone pop? Magari più del jazz o della classica, eppure questa settimana li troverai spesso nei dischi di cui ti parliamo. Come il sestetto di clarinetti di Björk. (Tra l’altro Björk è pop?) O fores “Pop” è una pratica di scrivere per il minimo comun denominatore del pubblico? E allora perché Lucio Dalla, un altro nome che compare questa settimana, è indubbiamente pop anche se non ha mai scritto al ribasso? Allora è una questione di vendite? Ma quanti dischi devi vendere per essere considerato “pop”, dov’è il limite? Il pop di ieri che non vende più resta pop? O lo diventa se le vendite arrivano per un caso fortuito, come è capitato quest’estate con Kate Bush? (Un’altra come Björk, chedefinire semplicemente pop quantomeno non è mai stato facile).
Dopo aver adottato e abbandonato negli anni definizioni più o meno restrittive, mi sono convinto del fatto che pop significhi semplicemente qualsiasi cosa ci si voglia mettere dentro, purché quell’opera musicale sia volutamente destinata a un pubblico eterogeneo, non specifico: a differenza ad esempio da chi pubblica in modalità DIY e distribuisce la sua musica solo dove suona (una vastissima fetta che va dal punk hardcore alle orchestrine di liscio); e a differenza degli ambiti accademici, anche se pure in questo campo ci sarebbero molte precisazioni da fare. In questo senso, con la fruizione universale e globale permessa dalle piattaforme streaming, l’insieme del pop potrebbe comprendere ogni pubblicazione esistente. Eppure c’è ancora chi ama definirsi in altro modo, aderendo esplicitamente o implicitamente a una certa estetica e a un certo canone: così, quando qualcuno si definisce rock o rap, non deve per forza aderire a quel canone, ma è in rapporto ad esso che delimita il proprio campo d’azione. Chi dice di fare pop non si pone questi problemi, e ogni singolo territorio sonoro è teoricamente esplorabile, perché non ha un vero canone con il quale paragonarsi (al limite, può essere il canone del “commerciale”, quello che funziona vs quello che non funziona); quindi, il discrimine che divide un pop maturo e consapevole da una banale musica di facile ascolto è solo la curiosità dell’artista. Noi vogliamo premiare questi artisti curiosi, che non si accontentano e provano strade diverse, che adorano l’arte di mettere a punto una canzone e non mollarla finché non è pronta. In questo senso, oggi c’è da essere contenti.
Prima dei dischi, un paio di notizie. La prossima settimana potrebbe arrivare l’annuncio di un nuovo disco dei Depeche Mode, che pochi mesi fa hanno perso il loro co-fondatore Andy Fletcher. Un altro possibile annuncio in arrivo è previsto anche da Frank Ocean, che ha cancellato tutti i post dal suo account Instagram (se ci pensi, è da matti che questa sequenza di eventi sia così prevedibile, oramai).
A proposito di possibili future uscite, durante un evento della Fashion Week di Londra Kanye West ha fatto sentire un pezzo che ha realizzato con James Blake, il quale ha confermato che in realtà ne hanno fatti ben tre insieme: noi siamo sempre contenti quando di Kanye si parla per queste cose.
In giro c’è anche una canzone nuova dei Gorillaz con Beck ma non è ancora uscita, però si può ascoltare qui perché Albarn l’ha suonata a Los Angeles qualche sera fa e conferma l’impressione che Cracker Island sarà un discone
Infine, non vorrei trasformare questa newsletter in una pagina dei necrologi, ma volevo ricordare una bella storia che riguarda Coolio, che ci ha lasciato questa settimana a 59 anni. Nel 2013, dopo un concerto a Preston, Lancashire (in Inghilterra), Coolio fece conoscenza con un gruppo di studenti che erano venuti a vederlo, andò con loro a fare la spesa, li seguì a casa e preparò per loro un pasto intero di tre portate, e infine cantò insieme Gangsta’s Paradise. Lo dico agli artisti che cercano la fama immortale: se fossi in voi, l’immortalità la cercherei più alla maniera di Coolio e meno con il sacro fuoco.
Björk, FOSSORA
Forse è perché non ho avuto una newsletter negli ultimi dieci anni, ma FOSSORA mi sembra il miglior disco di Björk da un decennio a questa parte. Il modo in cui il cantato spezzato e sussultante dell’artista islandese interagisce sia con il sestetto di clarinetti Murmuri che l’accompagna in gran parte delle tracce, sia con le incursioni elettroniche di Kasimyn dei Gabber Modus Operandi, è molto efficace. Il concept del disco è molto chiaro: scavando nel profondo si trova non solo qualcosa di sepolto, ma qualcosa di vivo e vibrante: l’artista l’ha descritto come il suo disco dei funghi, perché proprio come i funghi la loro vera vita si svolge sotto terra, dove sta quello che si chiama micelio, e ciò che vediamo in superficie è solo un frutto, non sempre benefico, di quello che veramente si sta svolgendo all’oscura dalla nostra vista. Questa filosofia ha permesso a Björk di riconsiderare molte cose, ad esempio come elaborare il lutto per la morte della madre, o come convivere con le limitazioni della pandemia in modo creativo e positivo (cioè facendo feste gabber in casa con gli amici). L’idea è che non tutto ciò che si priva della luce del sole va considerato morboso o malvagio o disturbante: ci sono altri modi di vivere, ci sono forme che sembrano aliene solo perché inusuali ma che in realtà scorrono sotto i nostri piedi come le ife fungine, pseudo-radici che non solo prosperano, ma comunicano, collaborano, condividono. In questo senso FOSSORA richiama alcuni concetti di Biophilia, ma dove c’era vaghezza ora c’è più precisione; dove c’era una generica fantasia dei processi chimici vitali, adesso c’è un modello specifico. Sono valutazioni che potrei ribadire anche per la musica, dove - a dispetto di certe critiche premature molto insulse - la gran parte dei pezzi ha un percorso tutt’altro che astruso: prendi una canzone come Allow, che ha un groove di fiati irresistibile: è pop, se mi passi il termine. Alla fine in playlist ti ho messo la canzone Fungal City realizzata con una nostra vecchia conoscenza, serpentwithfeet, ma davvero il disco va ascoltato per intero.
Shygirl, Nymph
Un altro disco che ti devi tenere da parte è Nymph della rapper, dj, cantante, cantautrice inglese Shygirl. Di questo disco sono usciti molti singoli (Come For Me e Nike sono tra quelli che ci sono piaciuti di più) e grazie a questi singoli è salito un hype peraltro giustificato dall’eccellente EP del 2020 Alias. Accanto a Shygirl ci sono produttori e produttrici con i quali ha instaurato sodalizi di lunga data, come Arca, Danny L Harle, Sega Bodega, Mura Masa. Con loro, negli anni, Shygirl ha messo a punto un’estetica da rave dell’era digitale assolutamente affascinante, parallela a certi discorsi sul pop aperti da PC Music, ma con una capacità di descrivere il carnale e il sessuale che contrasta con il gusto più algido di questo stile. Di nuovo, cosa significa pop? Significa trovarsi alle giostre con una pianolina da lambada ed essere catapultati tra le pieghe del Matrix? Lo è se senti pezzi come Poison, che abbiamo messo in playlist.
Yeah Yeah Yeahs, Cool It Down
Diciamo subito che Spitting Off the Edge Of the World, il primo singolo che ha anticipato il nuovo disco degli Yeah Yeah Yeahs, è una delle migliori canzoni del 2022, e se non la metto in una playlist di fine anno vienimi a tirare le orecchie. Detto questo, ti posso annunciare che quella non è assolutamente l’unica traccia da ricordare di quel disco, Cool It Down, che esce oggi. Per riprendere il discorso iniziale, è un disco molto pop non perché abbandoni le cifre stilistiche della band, ma perché Karen O e soci hanno provato a comporre in modo più simile a quello che si fa oggi: ad esempio, interpolando e campionando (rispettivamente Frankie Valli & the Four Seasons in Burning e gli ESG in Fleez). Il disco forse non dice qualcosa di nuovo di per sé nella discografia degli YYY, ma è pieno di vita, come se il titolo “raffreddalo” si riferisse tanto al pianeta quanto alla vita in generale, quasi fossero entrambi in preda a un riscaldamento apocalittico: quindi accanto a canzoni che fanno riferimento al cambiamento climatico c’è una canzone come Blacktop - la nostra selezione della settimana, ma se l’è giocata con Fleez - dove in modo struggente Karen O descrive il momento in cui l’intimità e l’intesa tra due persone diventa una codipendenza e alla fine una trappola. Non è il disco della settimana, ma te lo consiglio.
Emma Nolde, Dormi
Dormi, il secondo album della cantautrice e musicista toscana Emma Nolde dopo l’esordio Toccaterra del 2020, di cui ti parlammo ai tempi. Il disco è stato anticipato da due singoli, l’ultimo dei quali, La stessa parte della luna, mi permette di parlare dell’originalità dell’artista, e ribadire un discorso già fatto qualche episodio fa, cioè che non bisogna sempre inventare qualcosa di nuovo nella musica, se si lavora con cura e originalità: ad esempio, quella canzone è una ballad scritta con amore per questo mestiere, e prodotta con altrettanto amore (da Francesco Motta, di nuovo in regia come due anni fa). Un altro esempio di questa originalità è nel modo in cui Emma usa il dialogo, centrale nella scrittura (del resto il titolo del disco è una seconda persona singolare, “dormi”). Oggi il dialogo è usato come scorciatoia per convincere l’ascoltatore che quello che si dice, anche se non ha una sua profonda unicità, quantomeno è ancorato alla realtà: insomma, c’è qualcuno che ascolta, dall’altra parte, c’è una persona a cui ci si rivolge. Bene, io ritengo che questo strumento abbia concesso cittadinanza a banalità di ogni genere, truismi slegati dalla logica interna, slogan nascosti dentro immagini frettolose. Emma Nolde non cade in questo tranello, e usa il dialogo con giudizio: un esempio è la title-track, Dormi, dove approfondisce quella strana ambiguità del sonno, che è sia un rifugio sia la condizione vulnerabile per antonomasia; e poi dice cose come “provare a cambiare il mondo è una battaglia persa e io non vorrei mai che tu ti sentissi sconfitta” e vorresti solo farle un applauso. Segnalo anche la traccia CQVT, cioè “cerco qualcuno che venda il tempo”, che merita una menzione speciale per il timbro di chitarra, per il bridge quasi rappato (meglio qui che non nella canzone Voci stonate, secondo me), e per la progressione armonica che dimostra come non si debba per forza suonare quel giro di quattro accordi per fare musica pop. Ottimo disco.
Meg, VESUVIA
Un’altra artista che non sceglie mai il banale è Meg, che torna con VESUVIA sette anni dopo l’ultimo vero e proprio album in studio (nel frattempo aveva realizzato un disco live e una colonna sonora). Il disco naturalmente ha molto a che fare con l’identità e l’origine dell’artista: per stessa ammissione di Meg il Vesuvio è stata una presenza, fisica e mentale, nella sua vita. Non è però una rivendicazione localistica, che sarebbe stata una strada facile vista la popolarità recente della musica napoletana e in napoletano: da un progetto come Liberato che usa Napoli come terreno di coltura per i linguaggi rap, elettronici e R&B, fino ai Nu Genea, che invece da Napoli partono per il mondo; senza contare voci emergenti come NZIRIA (presente nella traccia NAPOLIDE, peraltro) o La Niña. Di tutto questo c’è un’eco, senza dubbio, ma il disco è più interessato ad altro: ad esempio, esplorare quel confine tra realtà e immaginazione che si attraversa nei momenti di agitazione, di sogno, di estasi. Le canzoni sono tutte oniriche, in un certo senso, come se venissero da una seduta di interpretazione dei sogni simbolica junghiana: come in FORMICHE o nel singolo ARCO E FRECCE. Sono flussi di coscienza, sì, ma questa non è una scusa per cantare cose a casaccio: anche perché pure i brani meno liberi a livello lirico sono attinti dal lato più istintivo dell’ispirazione e dell’osservazione. Come SCUSAMI SE SONO FELICE dove quell’irruenza emotiva non è nei versi, ma è nel personaggio, nella storia che viene raccontata. O in CIGLIA, dove i dettagli esplodono come metafore. In playlist mettiamo AQUILA per l’uso sottile ed elegante dei featuring di Elisa ed Emma, che restano nello sfondo come per aumentare la tessitura vocale di Meg. Un plauso ai produttori che hanno lavorato al disco, che suona bene come poche altre cose questa settimana: Frenetik, Orang3, Tommaso Colliva, Fugazza, Suorcristona.
Manuel Agnelli, Ama il prossimo tuo come te stesso
Oggi è uscito il primo disco da solista di Manuel Agnelli, che ce ne ha parlato due giorni fa (puoi vedere qui cosa ha detto). Non è un disco perfetto, ma è una bella iniziativa per un musicista che come tale, cioè letteralmente come musicista, è rimasto spesso nell’ombra - è un po’ la condanna del frontman. L’album ha alcuni punti alti, come Proci, che inserimmo in playlist a giugno e che ha la carica virulenta e polemica dell’Agnelli di metà anni ‘90; e Milano con la peste che parla di amore durante la pandemia. In questo senso, questa canzone è un po’ lo snodo del disco, dove Manuel parla di relazioni personali ma anche e soprattutto di amore come sentimento sociale. Gli strumenti sono stati suonati quasi interamente da lui stesso, dal momento che il lavoro è iniziato durante il lockdown, e ci sono un po’ di esperimenti a livello ritmico: sono stati percossi bidoni e catene; il pianoforte ha un ruolo centrale anche come guida per le dinamiche di diverse canzoni, dove detta non solo il tempo ma anche l’intensità. Agnelli dice di voler pubblicare un disco solista ogni due anni (e precisa che non è finita con gli Afterhours). Vedremo dove andrà questo percorso, che per ora comincia abbastanza bene. A dicembre farà dei concerti nei club, ma ne riparliamo lunedì.
thasup, c@ra++ere s?ec!@le
Oggi esce anche il nuovo album dell’artista formerly known as thasupreme, oggi thasup. Il disco c@ra++ere s?ec!@le è l’esemplare di questa settimana del disco rap con almeno il 50% di canzoni che potevano essere tagliate. Ma com’è? Per metà del disco, senti una prosecuzione delle cose migliori di 23 6451: come la canzone l%p con la sorella Mara Sattei, o !ly con Coez, che restano comunque molto buone. Le parti più interessanti, a mio parere, sono quelle in cui thasup prova qualcosa di nuovo, come i pezzi funkeggianti dove puoi sentirlo che se la spassa sulla tastiera, come in okk@pp@ o b@by nel bed, con una sensibilità per i groove sincopati che straripa anche su altri brani come + bla se c'è bling o nel brano in featuring con Salmo che è puro boom bap anni ‘90. I momenti più divertenti, però, mi sembrano quelli in cui thasup fa il tamarro, come sci@ll@ con Tananai, che è super finché non arriva una similitudine alquanto discutibile sulle bugie di Amber Heard; o _bilico_ che ha un beat forsennato irresistibile, da giostra, ed è per questo che è stata inclusa nella playlist. Una nota a margine la merita la partecipazione di Tiziano Ferro in r()t()nda, dove TZN si toglie per una volta la giacca di velluto da neo-Massimo Ranieri, e torna a fare un po’ lo scemo come non faceva da un po’, professando peraltro parole di verità come “No props ai fake bro'”. Ora vogliamo un disco insieme.
Gli altri dischi, in breve
Blindur ha pubblicato il suo terzo album, EXIT, che è una riflessione molto profonda su cosa significa fare parte del mondo, essere una pedina di qualcosa che per forza di cose è più grande di sé (una specie di gioco in scatola è incluso nell’edizione in vinile, non a caso). Così, sottoposti a pressioni familiari, sociali, morali, tutti proviamo sulla nostra pelle l’ambiguità dell’uscita: come mi ha raccontato Blindur, con il quale ho realizzato un’intervista che prossimamente uscirà, quando esci da un parte stai entrando da un’altra parte, ogni uscita è anche un ingresso. Dentro il disco c'è una canzone che aveva presentato a Sanremo Giovani (due anni fa) intitolata Eclissi, una bellissima intro intitolata 540 bar, e poi la canzone che abbiamo scelto, Secondo Giovanni, nel senso dell’evangelista Giovanni, che riassume molti dei temi del disco (e infatti la versione in vinile include una citazione neotestamentaria). Bel lavoro strumentale e di voce, sempre impeccabile. Avercene.
Denzel Curry ha pubblicato una versione deluxe del suo peraltro ottimo album Melt Your Eyes, suonato con la sua band di 10 elementi, la Cold Blooded Soul Band: è un’ottima scusa per riascoltarlo da capo, noi abbiamo incluso comunque una delle due tracce completamente inedite. Ci sono un nuovo album dei Titus Andronicus che pare uscito dal 1977. Ci sarebbe anche un nuovo disco di Kid Cudi, Entergalactic, ma dato che è legato all’omonima serie animata su Netflix aspetto di vederla per ascoltare con più consapevolezza queste nuove tracce.
E poi, tornando in Italia ma con un’artista che canta in inglese, HER SKIN ha pubblicato il disco I Started a Garden, una collezione straziante e dolcissima di canzoni costruite principalmente sulla voce e la chitarra dell’arista: nei mesi scorsi erano usciti tre eccellenti singoli, confident, heavy-hearted e suitable. Metti su questo disco se fuori piove e hai bisogno di tirare giù due lacrime: non perché sia un disco triste (lo è), non perché ritroverai te stess* nei nugoli di pensieri di una persona appena uscita da una relazione (lo farai), ma perché ogni canzone apre una finestrella dentro uno spazio autenticamente intimo che non tutti gli artisti sono disposti a svelare. E questo non può lasciarti indifferente. Una rapida segnalazione per CLUB BLU di Camilla Magli, un EP che per il 75% conoscevamo già perché contiene singoli pubblicati nei mesi scorsi: il 25% rimanente è un pop raffinato ma tutt’altro che snob, anzi molto alla mano. Molto bene, ma ora aspettiamo un album, Camilla.
I singoli
Settimana molto italiana, perché in cima in cima segnaliamo La felicità di Giovanni Truppi, che come titolo potrebbe sembrare ingannevole visto che finirai di ascoltarla tra le lacrime. Truppi è davvero un cantautore di una capacità inarrivabile: i suoi testi sono semplici, non ci sono parole assurde o simbolismi astrusi; ma è la capacità di guardarti dentro che è rarissima. Che grande (e che grande piacere averlo intervistato due volte, magari ci sarà spazio per rifarlo qui, in formato audio, che dici?).
Tra gli altri italiani meritevoli segnaliamo Valentina di Tatum Rush, che è uno sballo funky; Balaclava di Missey con l’artista catalana Julieta, che è uno splendido esempio di pop vorticoso e tenebroso; Un amore di Federico Fabi, che intervistammo un anno fa; Chi non ha di Nada, ultimo singolo prima dell’arrivo dell’album, la prossima settimana; Bianco di Joe Elle perché paragona la sua mano all’Eurasia. Una menzione a parte per il meritevole progetto DESERT di 42Records con il filosofo Franco Bifo Berardi, Marco Bertoni e Bobby Gillespie dei Primal Scream: un manifesto di quello che ci resta intorno, di questi tempi, cioè nulla.
Tra i singoloni dal resto del mondo segnaliamo: la title track del nuovo album dei Paramore, This Is Why, e mentre per il disco ci sarà da aspettare fino a febbraio (se ci arriviamo) per adesso possiamo dire che c’è una convivenza tra il mood dell’ultimo album funkeggiante After Laughter e l’introspezione dei lavori solisti di Hayley Williams; è arrivato finalmente anche il primo singolo da Redcar di Christine and The Queens, che ci apre un buco dentro come tutte le cose del cantante francese (che ora usa i pronomi he/him); poi è uscita un’altra traccia incredibilmente bowiana degli Arctic Monkeys, Body Paint, e per me possono andare avanti così all’infinito; c’è il ritorno degli LCD Soundsystem con una canzone inclusa nel film di Noah Baumbach White Noise, ma che potrebbe tranquillamente venire dal 2007, non imperdibile, te lo lascio nella parte finale della playlist dove si balla e dove ci sono singoli molto più interessanti (quelli dei Mount Kimbie e Teebs con Panda Bear, per essere precisi).
Altre segnalazioni, in tema ottoni (li citavamo nell’intro, no?): si sentono nella brumosa Saffron di Dawn Richard e Spencer Zahn, nuovo singolo da un progetto sui colori chiamato Pigments; e si sentono anche nel carinissimo nuovo singolo di Bill Callahan.
Infine, se sei triste perché Bruce Springsteen è tornato con una cover, anziché con una canzone originale, per te ci sono gli War on Drugs che fanno una canzone che assomiglia molto a una cover di Springsteen: si intitola Oceans of Darkness ed è uno di due inediti inclusi nell’edizione deluxe del loro bell’album dell’anno scorso, I Don’t Live Here Anymore.
A questo proposito, OSSERVATORIO COVER.
Da segnalare assolutamente è la versione in studio del duetto virtuale con Lucio Dalla che Cesare Cremonini, Stella di mare, che quest’ultimo aveva già interpretato durante il suo tour negli stadi quest’estate (il brano originariamente viene dall’album Lucio Dalla del 1979). Nel corso di una sessione di ascolto qualche giorno fa, Cremonini ci ha spiegato che dal vivo la canzone era stata resa nel pieno rispetto dell’originale: in sostanza, dopo aver avuto l’opportunità rarissima di lavorare sul master originale di Dalla, aveva preso la sua traccia vocale e con la band ci aveva costruito sopra un arrangiamento live fedele allo stile dell’originale. Per questa versione, invece, Cremonini ha creato un nuovo arrangiamento, che lui simpaticamente definisce techno, e che effettivamente ha elementi ballabili nei punti dove la dinamica è più forte. In questo posto mi hai sentito spesso parlar male dei duetti virtuali, delle cover furbette (specie quelle che non ammettono di esserlo) e dei riadattamenti scadenti: non è il caso di questa canzone. Ho chiesto a Cremonini cosa gli abbia dettato questa scelta e mi ha risposto che la sua intenzione non era beccare un trend, avere la hit: ma semplicemente far riemergere una canzone che - come si era accorto nei live - non tutti i suoi fan conoscevano bene, o per nulla. In questo modo, mettendolo in dialogo con una musica più familiare ai fan di Cremonini, quel repertorio poteva tornare fruibile ed esplorabile. E in tutto questo, misurarsi e dialogare con un modello e maestro. Mi è sembrato non solo un intento molto genuino, ma un’idea condivisibile e attuata con rispetto (la canzone, appunto, non ha un arrangiamento che “stona”): del resto è quello che si fa ogni volta che si esegue una cover. La presenza della voce di Dalla è un bonus, e che bonus.
Poi, Lucy Dacus ha reinterpretato due brani di Carole King, Home Again e It’s Too Late. Sono belle entrambe le versioni, ma dato che quest’ultima è una canzone perfetta mettiamo questa.
Chi non entra invece in playlist è Ed Sheeran, che ha pubblicato una canzone per un prossimo videogame dei Pokémon non bellissima. Entra in questo spazio, però, con le cover di I Want It That Way e Baby One More Time che ha cantato mentre era in vacanza a Ibiza. E chissà che non voglia restarci visto che dovrà andare a processo con la litigiosissima famiglia di Marvin Gaye per una causa di plagio (dicono che Thinking Out Loud somiglia troppo a Let’s Get It On).
Come sempre, in fondo alla playlist si balla, e prima di lasciarti ti segnalo una lettura.
Una lettura
Le piattaforme streaming ci hanno dato accesso alla musica di chiunque in qualsiasi momento storico, e così - come dicevamo in cima - hanno contribuito a ridefinire il pop. Ma allo stesso tempo ci hanno separato da quegli artisti. Si tratta del classico dilemma del supermercato: quando c’è troppa scelta, è difficile sviluppare un attaccamento con una di queste scelte, anche se l’abbiamo fatta e rifatta più volte; un consumatore usuale non è un seguace fedele, non è un fan. Tanto che la fandom non si sviluppa sulle piattaforme di streaming musicale, ma sui social, magari con l’idea di un dialogo paritario con l’artista e comunque in modo creativo e personale. E dell’infinita scelta sulle piattaforme cosa resta? Non molto, anzi un senso di indecisione e di noia al quale alcuni rispondono semplicemente cancellandosi da Spotify e compagnia. Non stiamo parlando di una tendenza, non c’è nulla che possa minacciare attualmente il modello dello streaming, ma stiamo parlando di storie che vanno prese sul serio: le racconta il Guardian, e ti consiglio di leggerle, se sono domande che ti sei mai posto.
Alla prossima settimana.