Louder
Pioveranno venerdì
Pioveranno venerdì S02E01
0:00
-21:06

Pioveranno venerdì S02E01

7-13 gennaio 2023: musica che fa RESET, fintantoché è possibile

Ciao Louder,

bentornat*, due giorni fa ti avevamo promesso che saremmo ritornati, ed eccoci qua, a macinare decine di ore di ascolti ogni settimana e raccontarti qualcosa su quello che abbiamo sentito e sullo stato della musica in generale. Se vuoi ascoltare la nostra selezione della settimana, la trovi nei soliti posti: su Spotify e AppleMusic. Tu mettila su, che ti dico due cose.

Gennaio è un mese strano per la discografia, specie in Italia: dai tempi in cui i dischi fisici si vendevano veramente, l’ultimo paio di mesi dell’anno sono sempre pieni di release importanti, ma ovviamente questo sta cambiando: la scorsa settimana è uscito l’album di Geolier, che nelle dinamiche del rap e dell’industria ha una sua importanza (e infatti è volato al numero 1 della FIMI), ma soprattutto la rinnovata importanza del Festival di Sanremo per le economie delle label e per la conquista dell’immaginario popolare ha reso questa parte dell’anno particolarmente convulsa. E così, ecco che piombano gli annunci dei dischi degli artisti in gara (Levante, Ultimo, Giorgia, con il suo caso di spoiler del testo della canzone del Festival che non porterà a nessuna squalifica, quindi inutile soffermarcisi). E poi gli annunci di altri dischi, come Cani sciolti di Francesca Michielin (24 febbraio) - splendida copertina, splendido titolo. E altri teasing di vario genere, dagli enigmi dei National (che avranno Phoebe Bridgers, Taylor Swift e Sufjan Stevens tra gli ospiti del loro prossimo nono LP) fino alla foto “piccantella” di Lana Del Rey per lanciare l’album dal titolo lunghissimo che arriverà il 24 marzo.

E così, la ruota fa un altro giro e anche la musica - come le vite di molt* di noi - fa un reboot. Ripartire da capo, schiacciare il tasto “reset” è un tema comune che ho trovato in diverse uscite di questa settimana: ci sono album che lo fanno a livello sonoro; altri che invitano a reinventare l’introspezione, e cominciare a guardarsi dentro diversamente. E poi ci sono quegli artisti ripartono dopo tanto silenzio, come Peter Gabriel (la scorsa settimana) o gli Everything But The Girl (questa settimana). E allora ripartiamo anche noi, cominciando dagli album.

Guè, Madreperla

Madreperla è un disco che fin dalle primissime note di basso synth si presenta per quello che è: un lavoro che suona alla grande, stuzzicando la memoria di chi ricorda l’epoca in cui Snoop Dogg ed Eminem spopolavano con linee di basso come quella di Who Am I (What’s My Name)? e The Real Slim Shady. La somiglianza del tone dello strumento è palese, e almeno il secondo esempio lo coglierebbe anche mia mamma. E questo è il vantaggio di Guè, ma anche il presagio di un problema futuro. Torniamo all’inizio.

Due giorni fa sono stato ospite della masterclass di Guè al Teatro dell’Arte della Triennale di Milano, dove Mr. Fini ha spiegato la sua idea di rap e ha presentato Madreperla: un disco concepito per omaggiare gli anni dell’innamoramento con il rap di Guè, dai ‘90 fino ai primi 2000, e ripercorrere il viaggio a ritroso nelle radici musicali del genere. Madreperla può piacere a chi non riesce a digerire l’estetica dell’hip-hop attuale, ma la penna è sempre quella di Guè, forse più concentrata sullo storytelling che non sul lore personale. 

Bassi Maestro, che ha prodotto per intero l’album (ma sarebbe meglio dire che ne è il genitore-2), ha lasciato un attimo da parte le sue produzioni elettroniche North of Loreto e ha rimesso mano alla premiata ditta campionatrice: Madreperla è anche un saggio di sampling, nelle sue varie incarnazioni e interpretazioni. Ci sono le scoperte del crate-digger (Mi hai capito o no? dove la canzone quasi omonima di Ron, a sua volta rilettura di Hall & Oates, si spezza e si inchina alle parole dell’MC); i paesaggi sonori alla Dre dove tastierine e campioni si sposano (Free); il “chipmunk soul” di Kanye (Need U 2Nite); il cimento con un sample storico (Mollami pt.2, dalla famigerata Here Comes the Hotstepper). E, in generale, non c’è la pigrizia con cui certi produttori campionano oggi, bensì l’idea che un sample costituisca l’unità minima di senso con la quale costruire un discorso più largo: come succede con Amore impossibile dei Tiromancino, trasfigurata in Chiudi gli occhi.

Intanto, giù il cappello a Guè che approfitta del suo peso discografico per permettersi un progetto certamente non in linea con i trend del mainstream rap attuale: Guè può schiacciare il tasto “reset”, anche solo per un album cycle. Ma non è un salto nel vuoto: questo disco sarà tutt’altro che una delusione commerciale, e non solo per il coinvolgimento dei tanti nomi “che funzionano”, da Sfera a Rkomi fino a Paky; e neppure soltanto per la fama e la fame di Guè presso il pubblico; e, per ultimo, nemmeno per l’intelligenza di Bassi, che pur lavorando “alla vecchia” confeziona un disco che suona pieno e moderno. La ragione ultima e profonda sta nelle prime righe, dedicate al basso di Prefissi: una parte importante degli ascoltatori conosce “le reference”, e non è poco. Se a molte orecchie Cookies’N’Cream suonerà come Candy Shop, è perché in tanti ricordiamo il suo dominio di MTV e delle classifiche (per non parlare di WinMX) per tre mesi filati, nel lontanissimo 2005. E allora, ecco la nota dolente (non per Guè, per noi): mentre del simposio musicale di Guè e Bassi possiamo raccogliere molte briciole, perché - pur non avendo la loro proprietà lessicale - abbiamo lo stesso vocabolario (molto esterofilo), non credo si possa dire lo stesso della musica urban italiana attuale, che si nutre di riferimenti stranieri, ma in una bolla alla quale solo i più appassionati hanno accesso. Tra 20 anni, quando un qualsiasi collega più giovane di Guè vorrà schiacciare lo stesso tasto “reset”, troverà un pubblico capace di capire i riferimenti? O parlerà a una nicchia di super-appassionati? Forse sarà proprio quella la sua missione, e va bene così, ma la forza di Madreperla è che invece riesce ancora a parlare l’ultima lingua comune che abbiamo condiviso come pubblico. E questo è un pregio assoluto di questo album.


Gaz Coombes, Turn The Car Around

Ripartire è anche riconoscere nuove priorità e scoprirsi adulti. Gaz Coombes dei Supergrass ci pensa spesso in questo suo nuovo album solista, che già dal titolo, Turn The Car Around, esprime quel senso di reset di un percorso, durante il quale si raccolgono i pezzi caduti per strada. C’è il blues (Feel Loop), c’è il glam (Long Live The Strange), c’è un baritono dondolante (This Love), acuti che sembrano sempre sul punto di precipitare (Don’t Say It’s Over; Sonny The Strong), o entrambi (il grande intro Overnight Trains). Ma soprattutto si sente la consapevolezza che bisogna andare avanti (il finalone Dance On), e per questo mi sembra che insieme con The Car degli Arctic Monkeys sia un disco che dipinge una crisi generazionale del Regno Unito, la distruzione di una cultura popolare. In pratica, certi artisti si stanno accorgendo che le generazioni che li hanno seguiti e venerati, quelli nati tra il ‘68 e l’89, sono diventate delle teste di cazzo che votano Brexit, che twittano insulti transfobici, che si assomigliano sempre meno. O forse non si sono mai somigliate. In ogni caso, c’è da costruire qualcosa di nuovo: come suonano diverse oggi le parole “are we like you? I can’t be sure. We are strange in our worlds”.


Margo Price, Strays

Il country non è quello che molti si immaginano: pochi mesi fa lo dicevamo a proposito della morte di Loretta Lynn, che ha usato la canzone popolare dell’heartland americano per opporsi al sessismo di quella stessa società. Margo Price siede comodamente in questa tradizione, e giustamente la stessa etichetta di country - cioè, il concetto del genere che l’establishment di Nashville porta avanti con i suoi premi e il suo mainstream - le sta stretta. Anche perché, come nel precedente album How Rumors Get Started, nella valigia dell’artista ci sono altri riferimenti - Fleetwood Mac, in particolare - che quantomeno allargano la visuale. Questo disco, prodotto da Jonathan Wilson, non parla semplicemente di fallimenti, dipendenze, abuso, ma cerca di trovare una ragione al perché la società americana continui ad aggrapparsi a mitologie e ideologie che la dividono, opprimendo le minoranze. Un omaggio ai “vagabondi” (da cui il titolo) e alla luce che custodiscono. Lo fa con pezzi che vivono costantemente in tonalità minore, che concepiscono anche il tempo e non solo l’armonia come significante, e quindi accelerano e rallentano all’occasione (Hell In The Heartland). Insomma, tutt’altro che un disco scontato.


Rozi Plain, Prize

Prize dell’inglese Rozi Plain è un disco di tastierine spettrali, bassi muti e batterie spazzolate. Suona come una mano di pittura dai colori poco brillanti, che però cambia completamente la luce di una stanza. Come un pomeriggio passato nel silenzio più completo a capire come ci si sente riguardo a qualcosa. Per questo non è un disco di emozioni, ma di ricerca delle emozioni; non è un disco di azioni, ma di reazioni. Questo lo rende un oggetto rarefatto, con pezzi come Standing Up che sembrano aver preso forma in uno stato di trance, mentre ci viene descritto perfettamente il senso di spaesamento che proviamo di fronte alle cose nuove. Scoprire che la vita pulsa anche senza impeti tonanti è un modo per ripartire molto realistico: diamo fuoco ai buoni propositi e facciamo del nostro meglio un passo alla volta.


MOLLY, Picturesque

Riprendo il filo da Guè ricordandoti quando nel 2005, per 13 settimane filate, Takk… dei Sigur Ros graziò la top 100 degli album più venduti: ne bastavano pochi, all’epoca, ma forse la loro popolarità italiana aiuta a introdurre questo duo austriaco, i Molly. Per molti i Molly sono una versione del discount dei Sigur Ros: questo è pensare in piccolo. L’illuminazione ti arriva quando capisci che al discount - dove ormai anche mia mamma va a fare la spesa - non devi comprare il fake dei prodotti di marca, ma tutt’altro: tipo le noccioline ricoperte di miele e sale (mi ringrazierai). Dentro Picturesque, il nuovo disco del duo di Innsbruck, devi cercare altre atmosfere: non le notti perenni dell’Islanda, ma i mattini frizzanti delle Alpi. E poi, oltre ai pezzoni da 10 minuti con grandi pennellate di chitarra e ripartenze epiche, il duo austriaco ti piazza una canzone come Sunday Kid, che con due accordi di organo e basta ti porta da tutt’altra parte, tipo da Daniel Johnston. Un disco da giorni della merla.

Share

Gli altri album, in breve

In questa settimana di ripartenze le uscite più rilevanti le abbiamo già menzionate, ma tra le altre chicche da segnalare ce ne sono almeno tre da un Paese che non sembra voler ripartire, la Gran Bretagna. Ieri è uscito il secondo album dell’inglese Billy Nomates, Cacti, che indaga la differenza tra cosa abbiamo dentro e cosa mostriamo fuori, con una chiave musicale più rotonda rispetto all’esordio e tante belle tastierine. Dalla Scozia attraverso Londra arriva invece Permanent Damage di Joesef, un disco pop-nu-soul che riesce a suonare insieme pregiato e domestico, di velluto e di moquette: il finale All Good con gli archi alla Shirley Bassey e questo shuffle di batteria che fa turu-tu come un cuore che batte vale l’ascolto. E infine, rimanendo in Scozia c’è il secondo album in due anni dei redivivi Belle & Sebastian: Late Developers è esattamente quello che ti aspetti da una band che orgogliosamente e da sempre suona indie pop sbarazzino degli anni ottanta (attenzione: ascoltando la title-track ti verrà voglia di salire su una di quelle crociere per vecchi nostalgici, non cascarci).

In area hip-hop segnalo Bin Reaper 3: New Testament di BabyTron, ventinove tracce per capire le quali dovrei passare molto più tempo su internet (ma ho colto la citazione di Mr Hanky da South Park!). Mickey Diamond ha pubblicato un concept album sulle Tartarughe Ninja, che è l’unica ragione per cui ne ho sentito parlare: si intitola Oroku Saki e gag a parte contiene dei bei pezzulli, come quello che contiene un sample di Owen Wilson che fa “wow”.

Italiani, oltre Guè, ne abbiamo: come i 1789, che hanno pubblicato Faro. I primi due singoli Loot e Alderaan (nella quale suona il basso Roberta Sammarelli dei Verdena) erano ottimi, e il resto del progetto grossomodo mantiene la promessa con un rock che mette abbastanza tutto sul piatto, con tante aperture di chitarre e cantati strillati. Mi piace perché usa il vocabolario condiviso di cultura pop (Ritorno al Futuro, Evangelion) non tanto per fare namedropping, ma per creare piccole storie, immedesimarsi in quei personaggi, come quando parla dell’EVA-02 dal punto di vista - credo - di Shinji Ikari. Poi è arrivato Miracolo di PIOVE: un po’ hyper-pop di maniera (Futuro HD, Hyperfragile), un po’ kata-pop di pancia (Sabba, Cuscino) perché le sue visioni del futuro hanno qualcosa di infernale e disperato (kata vuol dire sottoterra, come diciamo noi classicisti).

Qualche giorno prima era uscito Testacoda di Liede, anche in questo caso con un ospite di rilievo (Samuel dei Subsonica): un disco pop elettronico con alcuni bei momenti, come l’apertura E ancora e ancora e ancora. Chiudo segnalando anche l’agrodolce Pensieri lenti, pensieri veloci di Elex di cui ho incluso il brano Tame Impala (dovrei fare una playlist di canzoni intitolate come artisti?) e il tropicalista Esotica Naturalizada de I Gini Paoli, che è uno spasso e che ti consiglio di mettere su se farai serata a casa con qualche amico.

Share Louder

I singoli

Anche i singoli fanno un “reboot” questa settimana: ci sono gli Everything But The Girl, che con Nothing Left To Lose pubblicano il primo singolo in 21 anni (e si preparano a far uscire il primo album da 24 anni). Che dire, se non che la voce di Tracey Thorne, con tutte le imperfezioni di un essere umano, è un oggetto miracoloso in un’epoca nella quale i timbri si assomigliano sempre di più. E quando a 2:00 circa parte il bridge solo con Tracey e la drum machine puoi apprezzare la bellezza delle poche cose ben studiate. Citiamo qui anche il ritorno di Peter Gabriel: la scorsa settimana è uscita Panopticom, la prima traccia di i/o, il primo album dopo 12 anni dedicati a compilation, tour, live album e meritata vacanza: dovrebbe trattarsi di un’analisi ficcante di come abbiamo fottuto il pianeta e la civiltà, per cominciare bene l’anno.

I Public Image Ltd tornano dopo 8 anni con Hawaii, canzone che la band di John Lydon ha candidato alla competizione per stabilire la canzone irlandese in gara a Eurovision: per una volta dico che non mi importa nulla di Eurovision, perché la bellezza di questa canzone merita di fermarsi un attimo e basta. Lydon l’ha dedicata alla moglie Nora Forster, che da qualche anno è afflitta da Alzheimer: così, quando senti ripetere “I remember you, do you remember me” ti scende una lacrima grossa così.

Un altro ritorno atteso è quello di M83: Oceans Niagara è un suo classico pezzo, celestiale, pieno di chiaroscuri. L’album Fantasy esce il 21 aprile e il 19 giugno suonerà in Italia, al Magnolia, e io sono molto curioso. Una specie di ritorno è anche quello dei De La Soul, che il 3 marzo approderanno per la prima volta sulle piattaforme streaming e che per ora vi hanno pubblicato The Magic Number, tornata in auge grazie ai titoli di coda dell’ultimo film di Spider-Man. Vale come ritorno anche quello degli U2 che hanno deciso di riarrangiare 40 delle loro canzoni più famose? Forse, comunque Pride (In The Name Of Love) con la chitarra un po’ buttata lì non mi convince del tutto. Non convincentissimo anche il ritorno di Miley Cyrus, Flowers.

Da citare tra i singoli anche le quattro nuove tracce degli svedesi Viagra Boys dall’edizione deluxe del buonissimo album Cave World: It Ain’t Enough ha un tiro pazzesco. Poi ti cito il nuovo progetto di Black Thought dei The Roots, che dopo un disco con Danger Mouse molto buono l’anno scorso quest’anno farà uscire un disco con la band soul El Michels Affair: evviva! Rice degli Young Fathers, Aselestine degli Yo La Tengo e C’est comme ça dei Paramore ci fanno venir voglia degli album, ma non sono tra le cose migliori della settimana. Molto piacevole invece il singolo Lain (Phone Clone) di Miss Grit, già segnalata da queste parti in passato: il suo album uscirà il 24 febbraio, e ne riparleremo. Carine anche le tastierine di Futures Bet di U.S. Girls (il disco arriva il 24 febbraio, questo è il primo singolo) e le chitarre dei redivivi New Pornographers in Really Really Light. A proposito di chitarre, fai attenzione nella playlist ai Fucked Up, agli One Step Closer e al coreano Parannoul.

A proposito di singoli belli, Tutto inutile di Fulminacci è senza dubbio da citare. Filippo continua a essere una penna come poche in Italia: nella playlist con il meglio del 2022 sono stato obbligato dalla mia coscienza a inserire anche Magari, il brano di Marco Castello con lui, perché le canzoni che parlano di vita senza fissarsi l’ombelico vanno celebrate e ricordate.

Non molto bella, invece, Gossip dei Måneskin che hanno posto alla domanda: potremmo per favore rifare Mamma mia ma con Tom Morello che suona un assolo? La risposta che gli hanno dato è “sì, fate pure”: bella per loro. Rivisitano il passato, ma per tirarsi un po’ di schiaffi in faccia e tirarli soprattutto a noi, Lo Stato Sociale, che con Vasco Brondi si dichiarano Fottuti per sempre, affresco di uno sputtanamento generale, dove è più facile immaginare la fine del mondo piuttosto che la fine di Sanremo. C’è un po’ di Stato Sociale (cioè Bebo, che produce) nel doppio singolo de I Botanici: Stasi, in particolare, è molto buona. Doppio singolo anche per Avey Tare degli Animal Collective, che non è italiano ma io ho sempre pronunciato il suo nome “evitare” quindi secondo me vale.

Altre segnalazioni di singoli italiani: Ahinoi di Rareş che seguiamo da un pezzo, ormai, e anticipa un album intitolato Femmina che arriverà a marzo; Capannone di Lepre, un cantautore che ha un punto di vista davvero interessante; la bizzara e malinconica Spazzolino di Nico Arezzo con la nostra amata Emma Nolde; e Luna Piena di Ethan, per un momento di nu-soul all’italiana. Poi, Louder, tu sai bene che qui non abbiamo pregiudizi, e quindi inseriamo in playlist con gioia Voglia di vivere di Angelina Mango di Amici, che un pezzo di purissimo guilty pleasure, scritto con okgiorgio (che quest’anno farà grandi cose e già ne ha fatte, commercialmente parlando, con i Pinguini Tattici Nucleari). Se hai qualcosa in contrario, scrivimelo qui o su Instagram.

Leave a comment

Come sempre, alla fine della playlist troverai i pezzi da ballare (più o meno) tipo, Contains Multitudes di James Holden, che è il primo singolo di un album in arrivo a fine marzo ed è tutto suonini; ma anche Sam Smith, i Belle & Sebastian, e Vagabon di Carpenter, che è un pezzo pop, ma si balla (ed è una delle migliori uscite della settimana). Meglio chiudere qui, che come al solito siamo andati lunghi. Buon ascolto, Louder. Ci risentiamo sabato prossimo.

0 Comments
Louder
Pioveranno venerdì
Ogni settimana parliamo delle nuove uscite e ti dico cosa ascoltare e perché